In presenza di figli minori o maggiorenni non economicamente indipendenti, i coniugi o genitori (non sposati) di figli naturali dovranno, in via preferenziale concordare condizioni tali che i loro interessi non restino in alcun modo pregiudicati.
Le condizioni dovranno riguardare principalmente:
– affidamento congiunto (che costituisce la regola) e semmai “affidamento esclusivo” ad uno dei coniugi (circostanza assolutamente impraticabile in caso di separazioni o divorzi consensuali o congiunti);
– assegnazione della casa familiare (che, di regola, sarà assegnata al genitore presso cui i figli saranno prevalentemente collocati- assegnata non significa “trasferita in proprietà”);
– mantenimento dei figli con previsione di un assegno in favore di un coniuge, nel caso in cui vi sia diversità dei redditi e differenti tempi di permanenza tra un genitore e l’altro;
– collocazione prevalente del minore presso un genitore e diritto di visita dell’altro (i tempi di permanenza dovrebbero essere preferibimente paritetici).
– eventuale assegno in favore del coniuge debole.
Nel caso invece, in cui i genitori non riuscissero a definire bonariamente tali condizioni si dovrà, per forza di cose, lasciar decidere il Tribunale attraverso una vera e propria causa.
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Con la domanda di addebito della separazione, proponibile soltanto in fase contenziosa (e quindi non consensuale), sostanzialmente uno dei Coniugi chiede al Giudice di accertare che il fallimento dell’unione coniugale sia, per l’appunto, “addebitabile” soltanto all’altro per la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio.
Una delle cause più ricorrenti di una domanda di separazione con addebito è la scoperta del tradimento da parte dell’altro coniuge, anche se, non sempre, ciò è elemento sufficiente; potrebbe, invero, accadere che lo stesso tradimento sia nient’altro che una conseguenza della crisi familiare già in atto, da tempo
La separazione consensuale è quel tipo di procedimento giudiziario ove i coniugi, sostanzialmente, sottopongono al Giudice una serie di condizioni cd “minime” cui intendono adeguarsi per regolare i rispettivi rapporti e sospendere la propria unione coniugale, destinata a cessare, poi, definitivamente con la pronuncia della Sentenza di divorzio.
Le condizioni potranno riguardare l’assegnazione della casa familiare, l’affidamento dei figli, la loro collocazione prevalente, le visite ed il loro mantenimento nonché l’eventuale previsione di un assegno di mantenimento in favore del cd coniuge debole.
Nel ricorso sarà , altresì, indicata, la regolamentazione di qualunque rapporto di natura patrimoniale tra coniugi.
Alla prima udienza di comparizione, il Giudice andrà, comunque, a valutare che le condizioni previste riguardanti i figli corrispondano o meno al loro concreto interesse.
I costi di tale procedimento saranno di gran lunga inferiori a quelli di una separazione giudiziale, ove, a decidere sarà, unicamente, il Giudice sulla base delle domande ed eccezioni formulate dalle parti.
Il divorzio congiunto è un tipo di procedimento giudiziario ove i coniugi, analogamente a quanto avviene per la procedura di separazione consensuale, sottopongono al Giudice una serie di condizioni cd “minime” cui intendono adeguarsi per regolare i rispettivi rapporti in vista della definitiva cessazione degli effetti civili del matrimonio (nel caso in cui le parti abbiamo contratto matrimonio concordatario) o lo scioglimento del matrimonio (nel caso in cui lo stesso sia stato contratto con rito civile).
Gli aspetti che i coniugi dovranno prevedere e regolare sono sostanzialmente gli stessi previsti in caso di separazione consensuale alla cui Faq si rimanda.
Gli assegni di mantenimento per i figli vengono calcolati tenendo principalmente conto dei rispettivi redditi dei genitori, dei tempi di permanenza presso ciascuno nonché del coniuge cui è stata assegnato l’immobile familiare.
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Di regola, in questi casi, le questioni vengono trattate da un punto di vista esclusivamente civilistico.
Fermo restando quanto detto al proposito del tradimento nella FAQ precedente, i beni saranno divisi tra i coniugi a seconda del regime patrimoniale prescelto.
In genere, se il regime fosse quello della comunione legale, i beni acquistati in costanza di matrimonio, tranne le eccezioni previste dall’art. 179 cc, sono da ritenersi di proprietà di entrambi ed andrebbero, pertanto, equamente divisi sia attraverso un accordo bonario, sia in via giudiziale, attraverso una causa di scioglimento della comunione (specie se vi fossero bei immobili).
Nel caso in cui i coniugi avessero optato per il diverso regime patrimoniale della divisione dei beni, ciascuno sarebbe proprietario dei beni allo stesso intestati ovvero, per i beni mobili, di quelli di cui riuscisse a dimostrare la proprietà (fattura d’acquisto).
Interessante la questione sulle restituzioni delle somme versate da un coniuge per l’acquisto della casa familiare intestata all’altro, del conto corrente cointestato svuotato da un coniuge ed alimentato dall’altro durante il matrimonio.
Ritengo che in presenza di figli ma anche senza, sia preferibile scegliere una soluzione concordata delle condizioni patrimoniali e non, che i coniugi intenderanno applicare per il futuro.
In presenza di figli, anche naturali ovvero nati fuori dal matrimonio, le condizioni saranno comunque vagliate dal Giudice alla prima udienza, il quale ne valuterà la legittimità tenendo conto proprio dei superiori interessi dei minori.
Laddove, invece, le parti non raggiungessero alcun accordo, sarà allora il Giudice a decidere, con i suoi “pro”, ma anche i suoi contro.
Talvolta, tuttavia, sarà necessario percorrere la strada giudiziale come, ad esempio, quando le parti abbiano idee completamente divergenti in ordine alla forma di affidamento dei figli, all’ammontare degli assegni di mantenimento o magari vi siano consistenti interessi patrimoniali in gioco.
Nel caso le parti siano riuscite a concordare consensualmente le condizioni afferenti la propria separazione personale, sarà redatto un unico ricorso (ove entrambi potranno essere rappresentati anche da un unico Avvocato) che sarà depositato in Tribunale.
A questo punto, il Giudice fisserà l’udienza di comparizione, ove le parti vi compariranno per esperire il tentativo di conciliazione o confermare le condizioni di separazione; a quest’ultima eventualità seguirà, entro tempi ragionevolmente brevi, l’omologa di separazione.
Il procedimento di divorzio congiunto, pur disciplinato da specifica disposizione di Legge, segue tendenzialmente il medesimo iter sebbene sia definito con Sentenza.
Nel caso, invece, di separazione o divorzio giudiziale, una volta depositato il ricorso, fissata l’udienza da parte del Giudice e provveduto alla notifica del ricorso/decreto di fissazione udienza, solito discorso: si dovrà comparire in udienza.
Fallito il tentativo di conciliazione alla prima udienza, il Giudice, su richiesta dei rispettivi Difensori, emetterà, infatti, i provvedimenti temporanei e urgenti nell’interesse dei figli e del coniuge “debole” (ad esempio previsione della forma di affidamento, dei tempi di permanenza dei figli presso ciascun genitore, della assegnazione della casa familiare, di assegni di mantenimento).
A questo punto la causa, anziché essere definita, come nelle ipotesi di separazione o divorzio consensuale (congiunto), proseguirà nelle forme del processo ordinario.
La successione è quella procedura prevista dal nostro Ordinamento Civile che prevede il trasferimento del patrimonio ereditario dal de cuius ai propri eredi.
L’eredità, o meglio il patrimonio ereditario, è composto dall’insieme dei rapporti patrimoniali che in vita facevano capo al defunto; non solo dai crediti, dalle proprietà immobiliari o mobiliari però, ma anche dai debiti, anch’essi trasmissibili al momento della morte.
Se chi muore lascia un testamento, ci troviamo di fronte a quel particolare caso di successione definita “testamentaria”.
Al momento dell’apertura della successione testamentaria, potranno verificarsi ipotesi in cui colui che “pensava” di divenire erede, sia stato in realtà escluso dal testatore (o pretermesso).
Sarà allora necessario verificare che colui che si sente escluso sia o meno un legittimario pretermesso ovvero un soggetto al quale la Legge, indipendentemente dal contenuto della disposizione testamentaria, attribuisca comunque una quota intangibile dell’asse ereditario.
Da qui, potrà conseguire una azione stragiudiziale o giudiziale per la riduzione della disposizione testamentaria.
Ci troveremo dinanzi a questa eventualità, nell’ipotesi in cui il Defunto non abbia disposto con un testamento della propria eredità.
In questo caso il nostro Codice Civile disciplina le percentuali dell’asse ereditario che saranno trasmesse ai singoli eredi.
“Per determinare l’ammontare della quota di cui il defunto poteva disporre si forma una massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al tempo della morte, detraendone i debiti. Si riuniscono quindi fittiziamente i beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, secondo il loro valore determinato in base alle regole dettate negli articoli 747 a750, e sull’asse ereditario così formato si calcola la quota di cui il defunto poteva disporre”
Dovremo, pertanto, verificare quale sia il patrimonio residuo al momento della morte, sommare il valore delle donazioni effettuate in vita dal Defunto sottraendo infine i debiti ereditari.
Questo sarà il cd netto patrimoniale in relazione al quale andranno calcolate le quote di legittima che spetteranno a ciascun erede.